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PROVA SEMI-GUIDATA 2
mi fece segno di unirmi a loro. Qualche istante dopo mi ritrovai seduto sul
pavimento assieme agli altri, in concentrata attesa. Quando sedette len-
tamente sull’unicorno intrecciando le mani in grembo, avvertii il senso di
attesa tutto attorno a me.
– La storia dell’unicorno! – strillò una bambina. – Raccontaci la storia dell’u-
nicorno. Per favore.
Parlava così piano che dovetti sporgermi in avanti per sentirla. Ma volevo
sentirla, tutti lo volevano, perché ogni parola che pronunciava aveva un si-
gnificato preciso e suscitava una sensazione profonda, e suonava veritiera.
Domanda A10 La storia parlava dei due ultimi unicorni magici rimasti al mondo, che erano
arrivati troppo tardi per salire sull’arca di Noè con tutti gli altri animali. Così
rimasero bloccati sulla cima di una montagna, sotto la pioggia sempre più
forte, a guardare l’arca che navigava sulle onde enormi, ormai lontana. Le
acque salirono e salirono attorno a loro fino a ricoprirne gli zoccoli, poi le
zampe, poi il dorso, e così furono costretti a nuotare. Nuotarono e nuotaro-
no, per ore, per giorni, per settimane, per anni. Nuotarono così a lungo e
così lontano che alla fine si trasformarono in balene. Così poterono tuffarsi
fino in fondo al mare. Ma non persero mai i loro poteri magici e conserva-
rono i loro corni meravigliosi: ecco perché ancora oggi esistono balene
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con il corno dell’unicorno. Si chiamano narvali. E qualche volta, quando ne
hanno abbastanza del mare e vogliono rivedere dei bambini, nuotano fino
alle spiagge, ritrovano le zampe e ridiventano unicorni, unicorni magici.
Quando ebbe finito nessuno parlò. Era come se ci stessimo tutti destando
da un sogno che non volevamo abbandonare.
Poi una mano scattò in alto. Era un bambino della mia scuola, Milo, quello
coi capelli in piedi.
– Posso raccontare una storia, signorina? – chiese.
Così, seduto sull’unicorno, ci raccontò la sua storia. E poi, uno dopo l’altro,
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tutti vollero fare un giro sull’unicorno magico. Anch’io lo desideravo, ma non
ne ebbi il coraggio. Temevo di rendermi ridicolo, credo.
Le ore volarono.
– Com’è andata? – mi chiese mia madre mentre tornavamo a casa.
– Tutto bene, credo – le risposi. Ma a scuola il giorno dopo dissi a tutti i
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miei amici com’era andata veramente, raccontai tutto della signora dell’u-
nicorno – la chiamavano tutti così – e delle sue storie straordinarie e del
fantastico potere magico di raccontare storie dell’unicorno.
Quel pomeriggio vennero in biblioteca con me. Un giorno dopo l’altro, via
via che si diffondeva la voce, il gruppetto crebbe finché non fummo una
vera folla.
Ormai correvamo in biblioteca per essere i primi e trovare un posto vicino
alla signora dell’unicorno. Tutte le storie che ci raccontava ci incantavano.
Non ci diceva mai di stare fermi. Non ce n’era bisogno.
(Tratto e adattato da: Michael Morpurgo, Nel giardino segreto, EquiLibri)
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