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LA FACILITAZIONE
              LA FACILITAZIONE







                               UNA CITTÀ PULITA? pagine 126 e 127


                Interventi di semplificazione sul TESTO ORIGINALE

                La città di Pulitopoli sorgeva su una ridente collina piena di sole, di luce e d’aria buona.
                Tutt’intorno si stendeva la bella campagna generosa, dove il raccolto cresceva bene e i
                bambini scorrazzavano contenti. Appena un po’ più in là, nella valle, scorreva il vecchio
                fiume, che se ne andava per i fatti suoi tra i boschi di querce e noccioli.
                Tra le iniziative approvate dal Comune ce n’era una assai ambiziosa, che con un curioso
                gioco di parole era stata presentata alla cittadinanza come il progetto “Pulitopoli pulita”.
                – Pulitopoli sarà la città più pulita del mondo! – aveva assicurato il Sindaco.
                E la risposta della cittadinanza era stata pronta, entusiasta.
                L’ordine e la pulizia divennero il chiodo fisso della popolazione.
                Così i pulitopolesi, quando avevano finito di rassettare le case, scendevano per le strade
                e spolveravano le panchine, lavavano i marciapiedi, ridipingevano le facciate dei palaz-
                zi, curavano le aiuole dei giardini pubblici, pulivano i cartelli stradali e raccoglievano
                anche il più piccolo, microscopico pezzo di carta.
                Potete immaginare che montagna di immondizia raccogliessero ogni giorno.
                E che fine faceva quell’immondizia? Gli addetti comunali, con i furgoncini pieni di
                spazzatura, scendevano la ridente collina piena di sole, percorrendo la bella campagna
                generosa dove il raccolto cresceva bene e i bambini scorrazzavano contenti, entravano
                nel fitto bosco oscuro e rovesciavano tutto in un’enorme cava nascosta tra gli alberi.
                Poi, convinti di aver fatto un bel lavoro, andavano a lavarsi le mani nell’acqua del fiume
                e a parlare di quei lucci lunghi così, che da un po’ di tempo ormai nessuno pescava più.
                Sarebbe bastato ascoltare la voce del vecchio fiume per scoprire il perché. Il fiume
                l’aveva capito da un pezzo, e a proprie spese, poiché quella cava che gli uomini ave-
                vano scavato nel bosco riusciva a mandare i veleni fino alle sue acque, attraverso dei
                canali sotterranei. I lucci se n’erano accorti subito e avevano risalito la corrente fino
                alle rapide, lontano dal pericolo.
                Il fiume avrebbe potuto inoltre raccontare che nel bosco quella cava maledetta mandava
                un puzzo tremendo, che gli alberi intorno ingiallivano, che laggiù non c’era più né una
                tana, né un nido, né un segno di vita animale.
                Disgraziatamente, gli addetti del Comune non sapevano ascoltare la voce del fiume.
                Così si rialzavano, facevano un sospiro di scontento pensando ai lucci scomparsi e
                ritornavano al lavoro, a bordo dei loro traballanti furgoncini.
                E se anche qualcuno avesse sentito la frusciante voce d’acqua del fiume, che cosa
                potevano valere quei piccoli problemi di fronte alle grandi sfide dell’uomo?
                Il progetto “Pulitopoli pulita” era di gran lunga più importante.
                                                                      Anna Lavatelli, La rivolta del bosco, edizioni Arka








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