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IMPARARE FACILE





                       Ragazze coraggiose, pagine 122 e 123


            Interventi di semplificazione sul TESTO ORIGINALE

            In fondo alla grotta c’era un buco a forma di porta e, dentro, una galleria stretta che
            diventava subito buia.
            Ippolita mi raccontò che c’era già stata una volta da sola, ma appena entrata era
            scappata subito via perché i pipistrelli le facevano impressione.
            A me non tanto. Ne avevo visti due l’estate prima, appesi a testa in giù nel solaio della
            casa di mia nonna, e non mi erano parsi poi tanto terribili. Un po’ buffi, anzi.
            Così dissi, col tono della persona sicura di sé, che i pipistrelli di giorno dormono e
            bastava non svegliarli.
            La presi per mano e cominciai a tirarmela dietro, un passo dopo l’altro, voltando le
            spalle al chiaro dell’entrata. I muri della galleria erano lucidi per l’umidità; c’era odore
            di muffa, come quello di una vecchia cantina, e un altro odore, come di terra marcia,
            mai toccata dal sole.
            Sciac sciac, facevano i nostri passi sul terreno fangoso.
            Tututun tututun, il cuore.
            A un tratto sentii sulla faccia un tocco leggero, come di un fantasma, ma
            appiccicaticcio. Chissà che urlo avrei tirato, se non mi fosse venuto subito in mente
            che non dovevo disturbare i pipistrelli e che, soprattutto, quella era di certo una
            ragnatela.
            – Uh! – mi uscì. Questo non avevo fatto in tempo a trattenerlo.
            Sentii Ippolita aggrapparsi alle mie spalle: – Che cosa c’è? Perché ti sei fermata?
            – Ma niente. Una ragnatela.
            Dopo pochi passi la galleria faceva un gomito e ci siamo trovate di punto in bianco nel
            buio più fitto. Non si vedeva proprio niente, fortuna che avevamo portato una torcia.
            La accesi, cercando di tenerla bassa, sempre per non svegliare gli idem come sopra; e
            avanti, zitte zitte.
            C’era un silenzio! Da tagliare con il coltello, come si dice. Pareva di essere al centro
            della Terra. Abbiamo fatto ancora un po’ di passi nella nuova direzione che la galleria
            aveva preso ma... Stop di nuovo!
            – E adesso perché ti fermi? – domandò Ippolita.
            – C’è un muro, non si può proseguire.
            – Siamo arrivate in fondo, allora.
            – No, è aperto. Cioè, il muro mi arriva solo alla vita. Aspetta, ora guardo meglio...
            Alzai il raggio della torcia, mentre Ippolita per la curiosità dimenticava gli idem come
            sopra e si faceva avanti anche lei. Così abbiamo guardato insieme e siamo rimaste
            senza fiato.
            Al di là di quel muretto la galleria si allargava formando come una stanza, una sala
            col soffitto a volta, tutta piena d’acqua. L’acqua era ferma come un olio, nera come
            il catrame; il cerchiolino di luce della torcia ci scivolava sopra con un luccichio
            misterioso.


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